48 ore: l’America e gli “americani” di Regan

48 ore: l’America e gli “americani” di Regan

A cura di Imma di Tella

Il 1980 fu un punto di svolta nella politica statunitense. L’opinione pubblica, soprattutto la classe media concordò con le opinioni di Regan e lo votò in quello stesso anno. Le idee di Regan furono subito in favore di una crescita economica e sociale ma così non fu e la nazione si ritrovò nella maggior recessione dai tempi della Grande Depressione. Come se non bastasse anche a livello sociale le cose non migliorarono. Se negli anni 60 la forte spinta sui diritti civili sembrava far sperare un futuro più roseo, con gli anni 80 vediamo invece una concreta marginalizzazione della classe urbana operaia afro-americana.

Il 1982 non a caso, è anche l’anno in cui le sale cinematografiche americane vedono l’arrivo di 48 ore, film di Walter Hill da 1 ora e 36 minuti. La vicenda si svolge per le strade e il distretto di San Francisco quando un evaso di galera, provoca una sparatoria durante la quale un poliziotto, Jack Cates, perde la sua arma d’ordinanza e restano uccisi i suoi due colleghi. Per rintracciare l’evaso, Nick decide di far uscire un galeotto di colore, Reggie Hammon e per le 48 ore successive sarà sotto la sua custodia e insieme, tra battute spinte e cazzottate varie, riusciranno a sconfiggere il cattivo. Non è un semplice caso che si è voluto rappresentare come la legge, l’ ordine. L’America, vinca sempre a discapito del male. Non è un semplice caso usare un attore di colore (Eddy Murphy) per dare un forte segnale di inclusività e maggior rilievo agli afro-americani che in quel periodo erano sempre più ghettizzati e isolati sia economicamente che socialmente.

Il genere del poliziesco è uno dei cardini della tradizione cinematografica americana dove la coppia poliziotto buono e poliziotto cattivo( galeotto in questo caso) funziona benissimo, anche per la chimica creata tra i due attori. Entrambi gli attori col ”fisic du role” ma che mostrano il contrario dei classici stereotipi a cui si era abituati al tempo. Infatti in questo caso Hill inverte le carte in tavola e così: l’uomo bianco medio è il rozzo e cavernicolo che sa relazionarsi solo con la pistola ed i pugni e l’altro, quello di colore, è quello sofisticato e signorile.

La pellicola intrattiene e fa sorridere ma che solo ad una prima chiave di lettura può sembrare banale. Se li leggiamo nel contesto sociale in cui nascono, nel periodo storico in cui sono immersi, sicuramente noteremmo che i lavori di Hill non sono mai ciò che appaiono e ad ogni visione e re-visione capiamo quanto sono complessi e quanto questo artista continui ancora oggi dopo tutto questo tempo, a sorprenderci e a regalarci lezioni di vita sempre nuove e soprattutto ancora attuali.

Raffaela Pommella

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