L’antico rito della “Stuppata”

L’antico rito della “Stuppata”

RUBRICA – FOLCLORE AVERSANO

(a cura di Luigi Cipullo)

Erano tempi durante i quali i medici scarseggiavano ed era la normalità curarsi con estratti naturali. Molti uomini e donne, poi, univano alle virtù delle piante, formule magiche a metà tra il sacro e il profano.

Le donne, in particolare, sapevano anche togliere il malocchio (ma pure farlo) ed erano considerate fattucchiere. Tuttavia, per quanto molto temute, ci si rivolgeva spesso a loro poiché i metodi che usavano erano infallibili, strani espedienti che, il più delle volte, funzionavano alla perfezione. Per le coliche dei bambini, ad esempio, si faceva la “pupatella” che consisteva in un piccolo pezzo di stoffa con dentro zucchero o miele che si metteva in bocca al bimbo come un moderno ciuccio per farlo smettere di piangere. Contro il raffreddore si praticavano invece i “fumienti“, si bolliva dell’acqua spesso riempita di erbe e, coprendosi la testa con un asciugamano, si aspiravano i vapori di queste piante le aromatiche che liberavano vie respiratorie. Contro la tosse si preparava anche uno sciroppo, bollendo in acqua le “sciuscelle” (i frutti dell’albero di carrubo).

Ma, diffusissima nel Mezzogiorno e, anche ad Aversa, era la tecnica della “stuppata” (stoppata), che si applicava in caso di contusioni a gambe e braccia, un impacco di canapa, olio e albume d’uovo. Nella nostra città, espertissima di questo settore, era “Maruccella sòrece” (ipocoristico di Maria) la quale, prima praticava un massaggio con l’olio sulla parte dolorante, poi preparava la “stuppata“, sbatteva l’albume dell’uovo con lo zucchero formando una mistura che veniva spalmata e ricoperta con della lana cardata o della canapa e, infine, fasciava l’arto. L’impacco doveva essere tenuto un paio di giorni. Praticamente l’albume con lo zucchero diventava duro e quindi fungeva da gesso.

Chi si rivolgeva a Maruccella doveva portare da casa le uova e lo zucchero, mentre stoppa e garza erano offerti dall’”ortopedica“. Qui, come dovunque, la medicina popolare si associava a virtù magiche di cose e persone e a oscuri poteri di parole. Prima che nel nostro paese si attuasse quella che, in via di principio, doveva la riforma essere sanitaria, ma che alla resa dei conti si è rivelata una forma assistenziale inefficiente e alquanto costosa, queste figure erano predominanti nella vita quotidiana della comunità. Quasi mai ricche, non sempre agiate, queste donne si servivano della loro sapienza e delle loro rudimentali conoscenze che, tuttavia, in non pochi casi avevano dei precisi fondamenti scientifici.

© Testo di Luigi Cipullo
In copertina: Persefone di Dante Gabriele Rossetti, particolare – (se si condivide l’articolo indicare le fonti).

Centro Studi Normanni

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